Toscana Costituzionale 1848

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Giuliano Ricci 1848

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Descrizione

Ricci Giuliano
Toscana Costituzionale 1848 Riflessioni dell’Avvocato Giuliano Ricci da Livorno
Livorno, Stamperia Fabbreschi Pergola e C. , 1848
In 8°(15 x 23) ; pagine 46, (2). Brossura muta moderna . Indice: Preliminare; Caratteri speciali della Toscana; Ordinamenti economici; Dolcezza del costume; Mancanza di spirito di legalità; Riordinamento municipale.
Il Ricci, coetaneo e collega di Vincenzo Salvagnoli (entrambi nati nel 1802), aveva collaborato all’Antologia del Vieusseux e pubblicato saggi di argomento economico e amministrativo. Nel marzo del 1831 era stato arrestato dalla polizia granducale insieme al cognato Bista Nardi perché coinvolti in una cospirazione politica di stampo mazziniano. La loro carcerazione era durata pochi giorni. Il governo toscano era di manica larga con i suoi oppositori. La soffiata era partita dal proposto di Empoli, che aveva avuto una confidenza da parte di un rivoluzionario pentito. Successivamente Giuliano Ricci era stato in buoni rapporti con Francesco Domenico Guerrazzi, ma il loro sodalizio, negli anni Quaranta, si era deteriorato fino alla rottura. Praticamente i due si contendevano la supremazia fra i patrioti livornesi. Il Guerrazzi, detto Pelliccione, fu il tribuno dell’estremismo repubblicano; il Ricci, detto Cappellone, scelse il campo più moderato delle riforme costituzionali. Da allora fra i due fu guerra aperta, alla quale il Ricci si sottraeva spesso, rifugiandosi nel suo “buen retiro” di Gricciano, in Valdorme, dove gestiva col fratello Paolo una tenuta con villa, fattoria, sette poderi a mezzadria e 17 camporaioli, che gli consentivano di integrare l’incerto reddito della professione forense. Nel ‘48, l’anno delle rivoluzioni, il morso della politica spinse Ricci nell’agone elettorale, anche per dimenticare una sciagura domestica (la morte di un figlioletto per tubercolosi miliare). Corse per la deputazione di Castelfiorentino, ma fu pesantemente  sconfitto  dal Ridolfi. Ripiegò sul collegio di Dicomano e fu eletto membro del Consiglio Generale toscano con 83 voti su 93.  Non meraviglino cifre così basse: allora votava soltanto chi aveva il censo. La scelta moderata del Ricci non era piaciuta affatto al cognato Bista Nardi e al nipote Paolo, entrambi fautori del Guerrazzi e sobillatori dei campagnoli. In un passo del diario, alla data del 21 settembre 1848, Ricci si duole dei loro eccessi : «Mio nipote Paolo e suo padre sono divenuti non so come repubblicani fanatici e ciechi, e al solito dei partiti si guardano accuratamente dall’istruirsi leggendo. Il Paese li avversa e rischiano trovarsi a dei dispiaceri. Paolo a Gricciano cerca proseliti fra i braccianti venuti a lavorare in fattoria: io ne combatto con pieno successo le insinuazioni. Il mio argomento è semplice: poter essere la repubblica governo buono al par della monarchia tutte le volte che abbia consenso dell’universale: esser di tutti il peggiore il governo contrario al volere dei più; esser dunque pessima ora per Italia la repubblica contro cui stanno le moltitudini; esser delitto della minorità il non adattarsi ai voleri della maggiorità, ora che a ciascuno è dato di esporre e sostenere con la discussione pacifica la propria opinione; esser dunque delitto nei repubblicani toscani il fare ora dei tentativi E venendo a parlar del governo: esser reo di gravi torti il popolo non meno del governo, poiché né l’uno né l’altro fecero il loro dovere». La mattina del 26 settembre 1848 Giuliano Ricci giurava in Consiglio come deputato di fresca nomina. Col treno della Leopolda (da poco attivata) rientrava a Empoli in giornata per la fiera annuale. A sera si poneva in cammino per tornare a Gricciano, un tragitto di circa undici chilometri, sia che scegliesse la comoda via di Valdorme, sia che prendesse la disagevole via di Paterno, lungo il rio di Ormicello. Si ignora se a piedi, a cavallo o con un calesse. E si ignora anche il percorso effettivamente compiuto. La mattina dopo il suo cadavere venne rinvenuto in Orme, ma non si conosce il punto preciso. Fu constatata la morte per annegamento. Sulla dinamica (disgrazia, omicidio, suicidio) non si sa nulla dai documenti coevi sinora reperiti. La polizia empolese tace; il podestà di Montespertoli, Tognini, rimise al Pretore di Empoli un rapporto tardivo che assodava la tesi della disgrazia. Vi si parla della presenza al fatto del fratello Paolo e del suo “dottore”, non meglio precisato, ma non si dice nulla del loro comportamento nella circostanza. È troppo poco per avere un quadro non sospetto di quanto avvenuto. I giornali di Livorno e di Firenze, nonché il presidente dell’Assemblea toscana, Vanni, si adagiarono a loro volta sulla versione della disgrazia. La Rivista Indipendente di Firenze scriveva il 29 settembre che il neodeputato era stato travolto dalla “forza delle acque mentre guadava il torrente Ormicello per recarsi alla sua villa di Cricciano presso Empoli” ed era morto annegato. Aggiungeva che “la dolorosa sua fine e le strane circostanze che la produssero, lo fecero compiangere, anche da chi non lo conosceva”. Lodava il suo ingegno, la sua bontà, la sua onestà e il suo amor di patria; lamentava l’immaturità della perdita, ma non approfondiva la pur adombrata stranezza del funesto accadimento. Affogare in Orme è più difficile che volare, soprattutto nel suo tratto superiore, dove il livello dell’acqua è estremamente basso anche nei rari momenti di piena. I guadi d’Orme sono fitti e agevoli. Al traverso di Gricciano non c’era nemmeno bisogno, di guadare, perché anche allora esisteva un ponticello sul torrente…. Allora conviene pensare alle ostilità politiche anche violente, che il Ricci aveva subito nella turbolenta Livorno, nonché ai conflitti latenti e palesi in àmbiti familiare e aziendale.
Ottima copia con minimi segni del tempo.